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Ma quanti siete foggiani del Nord? (e una dedica a una persona speciale)

Quanti siete foggiani del Nord? Tanti, assai, troppi forse. Tutti a pensare, almeno per un momento, al sogno di invadere Pisa, di issare la bandiera dei Satanelli sulla ‘Pendente’, e di scoprire da una parola in dialetto che hai di fronte un altro matto come te, pure lui in riva all’Arno per sostenere i rossoneri. Ma che ne sanno gli altri? Che ne sanno dei foggiani che vivono lontano dalla propria città? Quelli che quando tornano vedono “la città peggiorata”, e la “differenziata che non va”, “e mo’ pure i semafori non funzionano più, non si capisce un cazzo in questa città”, ma un minuto dopo essere andati via già gli mancano quel dialetto gutturale, la bellezza delle passeggiate in centro, la brasciola, il sole, il mare del Gargano “e quanti ne tengono” tra parenti, amici, ex, abitudini e rituali pagani. Quelli che, tornando, quando arrivano a Termoli iniziano già a sentirsi a casa. Quelli che la domenica vanno su Sportube e la voce di Antonio Di Donna è più dolce e autorevole di quella del papa per i fedeli di piazza San Pietro. Ma che ne sanno dei milanesi-foggiani, dei bologno-terroni, di chi Foggia ce l’ha nel cuore, nella pancia, nella nostalgia del sugo della domenica e del gelato al bacio del Bar Haiti? Cosa ne sanno di questa città matta, troppo spesso disperata, quasi sempre dipinta peggio di quella che è, perché nel Tg delle 20 ci va solo per le bombe, i timbratori seriali di cartellini, e quasi mai per le cose belle che è e che esprime. Un elenco? No davvero, un elenco proprio no, ma potremmo parlare di un Conservatorio di livello internazionale, un Teatro comunale tornato a splendere, l’eccellenza della ricerca scientifica applicata nella Facoltà di Agraria, esempi di vitalità creativa e sociale come il Centro Sociale Scurìa che, però, proprio in questi giorni sta smobilitando da via da Zara per una parola data e mantenuta (si chiama onore, si pronuncia onestà) senza che nessuno, tra quelli che possono e dovrebbero, abbia trovato modo e spazi per non sprecare quella esperienza. Ecco, se c’è qualcosa che la Foggia calcistica, lo Scurìa, i bombardamenti di ieri e le bombe di oggi, i crolli e le tragedie di questa città insegnano è che Foggia, i foggiani, trovano sempre la capacità di rialzarsi. E che l’indolenza, d’un tratto, diventa frenesia. E la vergogna per certi spettacoli diventa volontà di riscatto, orgoglio. Lo scrive uno che di Foggia non è, e proprio per questo ha imparato a riservare a questa città l’odio e l’amore che merita. Indifferenza mai. Come fai a essere indifferente a quell’obbrobrio lugubre-brioso dei fasci giganteschi in Piazza Italia? E come puoi non smadonnare davanti all’insensatezza surreale di un traffico più caotico e inestricabile di quello napoletano? Non si può essere indifferenti o non commuoversi nemmeno un po’ di fronte ai vecchi che giocano alla monetina, ai ragazzi che fanno rotolare le biglie dentro le buche delle strade, alle baraccopoli illegali che sorgono a un metro dal Palazzo di Giustizia. Né si può esserlo di fronte alla bellezza di una città dipinta come brutta. Ma cosa ne sanno quelli che vanno blaterando “Fuggi da Foggia…” eccos? Niente ne sanno. E’ per questo che rimangono attoniti di fronte allo spettacolo dello Zaccheria. A quella passione, altrimenti inspiegabile. A quella frenesia di esserci. Per vincere, una volta e una di più. E poi niente, “freg nind, forza Fo’”. Non possono saperlo, non possono capire perché a Pisa i biglietti del settore ospiti sono andati esauriti in un “cheveramè”. Non è solo calcio. E il calcio non è solo un gioco. In ballo c’è qualcosa di più. C’è Foggia. E Foggia c’è. (Francesco Quitadamo)

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la foto in home, pubblicata anche qui sotto, ce l’ha inviata Rocco Veccia. Grazie Rocco.

Foggia coreografia Rocco Veccia

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